“Per dare la medicina a un gatto come fai? Prendi la zampina del gattino, metti sopra la medicina, la spalmi ben benino, il gattino che fa? La lecca! E, praticamente, la medicina va giu'”
“E’ vero! Anche mia nonna quando doveva mettermi le supposte, da bambino, me le spalmava sul sellino della bicicletta!”

(Aldo, Giovanni e Giacomo “Chiedimi se sono felice”)

Da qualche anno si parla fin troppo di una pianista, Yuja Wang, la cui fama sembra basarsi non solo su indiscutibili capacita’ tecniche ma anche sulle sue mise, piuttosto tendenti al minimalista underdressed. Attenzione: non andiamo a dire che questo secondo elemento sia stato determinante, tuttavia senza dubbio gran parte dello spazio che le e’ stato dedicato dai giornali e’ stato certamente dovuto a questioni prettamente fisiche: titoli come “la pianista in minigonna” si sono sprecati, ma basta leggere questo articolo di Grazia per farsi un’idea. Da quest’articolo proprio si vede come il concept di pianista venga considerato in maniera ribaltata, visto che l’incauta cronista annota il fatto che la pianista sia appassionata di Calvino come un particolare curioso. Notoriamente, i musicisti sono sempre stati persone colte, quindi quello mi sembra proprio l’elemento meno interessante o, quantomeno, piu’ scontato.

Harriet Cohen, fotografata da Bertram Park,

E in questo senso, la Wang sembra la sublimazione del “fenomeno da baraccone” che tanto piace ai media italiani: non e’ solo dotata di una tecnica prodigiosa che le fa fare le famose diecimila note al secondo che mandano in visibilio le folle, ma e’ anche vestita in maniera stravagante (per il luogo che frequenta), quindi la frittata e’ completa. Da notare che questo non e’ certo il primo caso della storia di musiciste che abbiano fatto leva sulla propria immagine, basti ricordare Harriet Cohen (nella foto), che gia’ negli anni 20 (!!!!) si faceva fotografare come nel ritratto che vedete accanto.

Tornando alla Wang, la parte musicale sembra – a mio modestissimo parere – scialba e priva di inventiva sia nell’interpretazione che nella scelta del repertorio (cosa peraltro comune ad altri due musicisti la cui carriera e’ stata costruita sull’immagine e non sulla sostanza, quali Cameron Carpenter e Lang Lang). Tuttavia, nella logica dei teatri che deve, ovviamente, riempire le platee la Wang (e simili) rappresenta la versione “classical for dummies”: il pubblico va a vedere la tizia di cui ha letto sui giornali e sentito in TV. Come quando si danno le medicine ai bambini: gliela si nasconde in qualcosa che hanno voglia di mangiare. In questo modo, vanno a vedere concerti che non avrebbero mai visto, manco se a suonare gli stessi pezzi ci fossero stati musicisti di ben altro spessore (la Argerich, Pollini, Zimmermann o chi altro).
Dopodiche’ possiamo discutere fino a domani se le sue interpretazioni siano interessanti o meno: io di solito faccio un “blind test”, metto insieme un po’ di dischi con diverse interpretazioni di vari pianisti e le ascolto senza sapere chi suona cosa.

Se la versione e’ interessante si vede subito e si fanno anche notevoli scoperte.

E non c’e’ il rischio di “distrazioni”…

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