La letteratura esistente sul marketing culturale tipicamente verte sul raccontare come enti con budget milionari abbiano cercato di sviluppare questa o quella strategia per cercare di fidelizzare il pubblico. Questo, tuttavia, è anche il risultato di un certo tipo di “scrematura” sociale che, soprattutto nell’ambito italiano, vede la parola “marketing” come una mefitica emanazione del più becero capitalismo, in totale antitesi con la virginale purezza che permea il concetto di cultura.

In pratica, la realtà dei fatti non è esattamente questa: il termine inglese “marketing” va a riassumere tutta logica che regola la presenza di un determinato operatore su di un mercato. Il termine “mercato” è di solito altrettanto da tenere lontano dal mondo della cultura, e questo è un altro grave errore. Vediamo perchè.

L’esistenza di un mercato implica una domanda e un’offerta. Ulteriormente, una domanda e un’offerta implicano un prezzo, quindi un qualcosa che chi mira ad usufruire del bene sia disposto a dare in cambio di questo.
Proprio su questo aspetto il produttore di cultura deve riflettere: tra chi produce e chi usufruisce esiste sempre e comunque una relazione di compravendita. Per fare un esempio molto semplice, uno spettatore che venga a vedere uno spettacolo, oltre all’eventuale costo del biglietto di ingresso, investe due cose importanti: tempo e attenzione.
Lo spettatore si impegna a prestare attenzione a quanto avviene in scena e a rimanere seduto al suo posto per tutto il tempo necessario. Questo, di partenza. In più, magari ci mette anche il prezzo del biglietto.

Tramite questo semplice esempio, quello che si nota è che la proposta di un prodotto culturale a un fruitore implica comunque una compravendita, che deve avvenire ovviamente prima dell’evento in sè.
La domanda è quindi una: in base a cosa una persona sceglie di andare a uno spettacolo o a un concerto? Un milione di fattori: interesse in relazione a conoscenze preesistenti (so, per cultura mia, che quel testo o quell’autore o quell’artista mi possono interessare), passaparola (persone di cui mi fido mi dicono che mi può interessare), identificazione sociale (interessa a gruppi o ad ambiti ai quali appartengo o miro appartenere) o concetti più egoistici, come il desiderio di evasione (partecipare a questo evento si identifica in una sensazione o un sentimento che provo, o che vorrei provare, in questo momento) o di riconoscimento sociale (partecipare a questo evento mi renderà più interessante agli occhi di qualcuno).

Ovviamente perchè tutto questo avvenga è necessario che ci sia una strategia di comunicazione, quindi una presentazione di contenuti tramite dei media che possano attivare uno o più dei meccanismi di cui sopra. Perchè deve avvenire ciò? Perchè se non so che c’e’ quell’evento, e che quell’evento contiene mi potrebbe interessare per qualche motivo, e’ ben difficile che faccia una valutazione su di esso.

Il marketing culturale, come si può dedurre, ha due diverse coniugazioni a seconda che la variabile tempo sia considerata o meno. Intendo dire, comprare un DVD non mi vincola a guardarlo, comprare un CD non mi vincola ad ascoltarlo, comprare un libro non mi vincola a leggerlo. Invece, presentarmi all’ingresso di un teatro o di un auditorium mi vincola a rimanere lì fino alla fine (perchè so benissimo che andarmene prima della fine non è un comportamento socialmente accettato, a meno di motivi evidenti).

Le strategie di marketing, come spero stiate cominciando ad intuire, diventano tanto più importanti quanto più il mercato è affollato, ovverosia il rapporto tra numero di operatori e numero di potenziali acquirenti è eccessivamente sbilanciato. Questo avviene per due motivi: incremento degli operatori con un numero pressoché invariante di clienti, o numero dei clienti in calo a parità di operatori. In termini prettamente economici, aumento dell’offerta a parità di domanda, o diminuzione di domanda a parità di offerta.

Per fare un esempio, l’attuale situazione italiana è particolarmente tragica: infatti vede presenti in concomitanza entrambi i fattori:
a. i new media, nutriti da un generalizzato desiderio di apparire, hanno fatto sì che l’offerta di prodotti culturali si sia molto ampliata
b. il costante disinteresse per la formazione culturale dei cittadini da parte della cosa pubblica ha ridotto la platea potenziale. Ogni mercato, infatti, presuppone, oltre al venditore, anche un compratore, ovverosia qualcuno che riconosce un valore nel bene offerto. Se questo non sussiste, il mercato muore perchè si riempie di prodotti che nessuno vuole acquistare. Il valore del prodotto culturale deriva da un insieme di conoscenze che l’individuo assorbe attraverso un lunghissimo processo, per tramite della scuola, dei mezzi di comunicazione, della famiglia. Nel momento in cui scuola e mezzi di comunicazione non forniscono queste informazioni il sistema va a gambe all’aria.

In questo senso, l’operatore culturale può cercare di usare due strategie, una di lungo e una di breve periodo. La prima dovrebbe cercare di fare divulgazione per allargare il potenziale pubblico futuro, la prima dovrebbe puntare al primato attuale per potersi accaparrare una più vasta fetta del pubblico attuale, ovverosia proporre progetti più interessanti rispetto alla concorrenza.

Questo ovviamente implica una valutazione della concorrenza, di come fare in modo di proporre ad essa i propri progetti e via discorrendo.

Ovverosia, una strategia di marketing come per qualsiasi altro prodotto. Stiamo parlando di cose difficili e faticose, specie se si vuole che siano efficaci.

Serve a questo punto fare due considerazioni

Prima considerazione: La risposta in termini di pubblico (successo) dovrebbe essere l’adeguato parametro di valutazione, ovviamente misurato sull’orizzonte temporale corretto: se sei un esordiente e al tuo debutto non c’è nessuno poco male, se dopo due anni di lavoro la platea è ancora vuota conviene porsi qualche domanda; altrettanto se al debutto c’è una folla e alla seconda replica c’è il deserto. Se però il tuo progetto si basa su un finanziamento esterno (e pertanto di vendere biglietti o no non te ne frega niente, perchè tanto lo stipendio l’hai preso) stai attento perchè la tentazione di non misurare il gradimento con la comoda scusante dello “io sto facendo arte e il pubblico non mi capisce” è molto forte, e rischia di spedirti dritto dritto nel nugolo dei perdenti. Statisticamente, il numero di fiaschi rivalutati dai posteri è piuttosto basso.

Seconda considerazione: se l’obiettivo è convincere persone a venire al tuo spettacolo, ovviamente la tentazione di “tagliare la curva” è piuttosto forte. Questa cosa si chiama “marketing non etico” e ne parliamo qui.

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