L’acqua alta nella biblioteca del conservatorio di Venezia dovrebbe far riflettere su una cosa: a parte la preziosità dell’oggetto fisico, la grave perdita è la perdita dell’informazione contenuta in esso.
Vale a dire: una cosa è il “pezzo di carta”, e una cosa è “quello che c’è scritto su quel pezzo di carta”.
In altri termini: se quel volume costituisce un pezzo unico, mai copiato, mai trascritto, mai digitalizzato, mai eseguito, noi non perdiamo solo “l’oggetto”.
Perdiamo anche quello che c’è scritto dentro.
Veniamo da cinque secoli di guerre, saccheggi, battaglie, bombardamenti, alluvioni. Ogni volta abbiamo perso qualcosa, motivo per cui abbiamo imparato a conservare gli originali, ma a fruire di copie, tante copie, che ci permettono di avere accesso al dato anche se l’originale si è perso.
Nelle immagini ho visto mostrare le sonate op 1 di Vivaldi, l’Estro Poetico Armonico di Marcello: di quelle edizioni ci sono altre decine di copie nel mondo. sono opere a stampa che furono pubblicate secoli fa e diffuse in tutta la loro tiratura, di cui oggi diverse copie sopravvivono. Perderli è grave, ma non irreparabile: in più gli stessi volumi sono stati digitalizzati, ristampati in anastatica, in facsimile, in edizione moderna. Insomma, c’è la perdita del singolo esemplare, grave, ma non la perdita dell’informazione ad esso associata.
Ma tutta la musica che era presente in esemplare unico nella biblioteca del conservatorio, danneggiato, e che non era mai stata trascritta, digitalizzata, riprodotta?
In quel caso abbiamo perso tutto.
Dimostrando che non sappiamo imparare dai nostri errori: quando durante la seconda guerra mondiale la biblioteca di Dresda fu bombardata, molti pezzi unici furono persi per sempre. Ma per fortuna, alcuni di essi erano stati precedentemente inclusi in edizioni critiche, o erano stati fotografati. Quindi l’oggetto fisico non c’è più, ma l’informazione contenuta non è stata perduta. Adesso la biblioteca di Dresda è per gran parte fruibile gratuitamente dal suo sito, in pdf.
La carta brucia, si bagna, si rovina: è importante custodirla, ma è altrettanto importante conservare le informazioni in essa contenute, diffonderle, divulgarle.
Utile che escano libri, dischi, pubblicazioni che contengono queste cose.
E, scusatemi, ma a vedere tutti che si commuovono e si indignano per l’inondazine veneziana, mi viene da dire che dovreste pensarci
– Ogni volta che, quando dovete mettere l'”offerta libera” dopo un concerto, lasciate dieci centesimi e un bottone, sempre che li lasciate
– Ogni volta che decidete di non andare a un concerto se “non è gratis”.
– Ogni volta che non comprate un disco perchè tanto lo ascoltate su youtube.
– Ogni volta che fotocopiate uno spartito.
Perchè i progetti di diffusione dei contenuti passano anche dai musicisti, dalle case editrici, dalle case discografiche, dalle associazioni, dalle fondazioni, che non sono la zecca di stato ma che lavorano sulla base di quanto voi ci avete reinvestito dentro. O di quanto ci reinveste dentro il governo che voi votate.In ogni caso, non era un cosa a cui doveva pensare “qualcun altro”.
Perchè se la biblioteca fosse stata al primo piano e ci fosse stato un incendio, o un tubo del riscaldamento che si fosse rotto, sarebbe stata la stessa identica cosa.
Se però, nei fatti, avete sempre ritenuto che l’attività musicale o musicologica non valga niente, perchè non le avete voluto attribuire nessun valore quando ne avete avuto la possibilità, perchè oggi piangete sui manoscritti di Venezia?
Su quei manoscritti ci sono già sufficienti danni da umidità senza doverli peggiorare anche con le vostre lacrime di coccodrillo.

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2 comments

D’accordo sulla linea generale dell’argomentazione. Due precisazioni ad adjuvandum: non TUTTA l’informazione si salva se sparisce il supporto fisico originale. Anche la digitalizzazione più raffinata non può registrare dati codicologici importanti (carta o pergamena, filigrane, inchiostri, rilegature), oppure li registra solo in minima parte. Sono variabili che servono agli specialisti per indagare sull’autenticità, la datazione e l’attribuzione del contenuto, come pure sull’origine del manufatto e la storia della sua trasmissione. Nella seconda guerra mondiale si era pensato di salvaguardare il patrimonio della Biblioteca di Dresda decentrandone la maggior parte in una ventina di località fuori mano. Ciononostante circa 200mila fra manoscritti e stampe — fra cui un grosso fondo di musiche di Albinoni — andarono in fumo per i bombardamenti e un poco di più (circa 250mila) furono saccheggiati dall’esercito sovietico a titolo di “riparazione dei danni di guerra”.
Cordiali saluti
Aristarco Scannabufale

L’obiezione è perfettamente corretta, ma lo scopo dell’articolo era riflettere sul contenuto informativo che viene perduto, assieme all’oggetto fisico, e che potrebbe essere invece parzialmente preservato (per quanto, ovviamente, non completo: potrebbe soddisfare il musicista e non il codicologo).
Come diciamo a milano “piutost che nient, l’è mej piutost”, ossia, chiaramente nessuna riproduzione restituirà integralmente l’informazione codicologica, ma può
a. evitare che il documento debba essere consultato da chiunque
b. fornire in prima istanza un subset informativo che può essere sufficiente in alcuni casi
c. permettere di salvaguardare almeno parte dei contenuti, e non perderli tutti.
Non è un mistero che molti fondi preziosi siano di fin troppo facile consultazione e che, pertanto, debbano essere di facile accesso, con tutte le conseguenze del caso. Una maggiore protezione implicherebbe un accesso più difficile, ma qualora questo fosse meno frequentemente necessario il compromesso potrebbe risultare accettabile.
La riproduzione non sostituisce certamente l’originale, ma può almeno permettere una fruizione dei contenuti che sia più rispettosa dell’originale: nulla è al sicuro. Per fare un esempio proprio collegato, nei bombardamenti di Dresda andarono in fumo anche diversi brani di Johann Caspar Kerll di cui, per fortuna, uno era stato incluso nel volume dedicato a questo compositore nella serie Denkmäler deutscher Tonkunst (Denkmäler der Tonkunst in Bayern; Anno II/2) da Adolf Sandberger, pubblicato nel 1901. Le edizioni critiche su Kerll pubblicate successivamente non poterono effettuare analisi di maggior approfondimento su tale pezzo, ma almeno un esemplare della musica è sopravvissuto.
Grazie mille del contributo,
Carlo Centemeri

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